E' finito agli arresti
domiciliari in Vaticano l'arcivescovo polacco Jozef Wesolowski, 66
anni, ex nunzio in Repubblica Dominicana dove, secondo le accuse,
avrebbe abusato sessualmente di diversi minori. La notizia diffusa
ieri sera dalla Santa Sede è in sé clamorosa: rappresenta infatti
il provvedimento forse più grave preso dalla Chiesa universale
contro uno dei suoi esponenti coinvolti in casi di pedofilia.
“C'è stata una
significativa accelerazione” dicono Oltretevere in merito
all'andamento del processo che sembrava destinato ad avere comunque
tempi un po' più lunghi. La storia è cominciata poco più di un
anno fa, nell'agosto scorso, quando le indagini della giustizia del
piccolo Paese caraibico hanno fatto emergere un quadro inquietante
fatto di abusi e prostituzione minorile nei quartieri più poveri di
Santo Domingo, la capitale della Repubblica Dominicana. Ad essere
coinvolti il nunzio apostolico – cioè l'ambasciatore della Santa
sede – ed altri preti, anche di origine polacca, finiti poi sotto
processo in patria.
Una nota diffusa dal
portavoce vaticano padre Federico Lombardi, precisava poi che il
promotore di giustizia del Tribunale vaticano, l'avvocato Gian Piero
Milano, aveva “convocato l’ex nunzio monsignor Wesolowski, a
carico del quale aveva avviato un’indagine penale”. Quindi
proseguiva: “al prelato - già condannato in prima istanza dalla
Congregazione per la dottrina della fede alla riduzione allo stato
laicale al termine di un processo amministrativo penale canonico -
sono stati notificati i capi di imputazione del procedimento penale
avviato a suo carico per gravi fatti di abuso a danni di minori
avvenuti nella Repubblica Dominicana”. In base alla “gravità
degli addebiti l’ufficio inquirente ha disposto “un provvedimento
restrittivo che, alla luce della situazione sanitaria dell’imputato,
comprovata dalla documentazione medica, consiste negli arresti
domiciliari, con le correlate limitazioni, in locali all’interno
dello Stato della Città del Vaticano”.
Il linguaggio formale e
burocratico non può nascondere l'enormità del provvedimento preso
dalle istituzioni della Santa Sede con il placet, evidentemente, di
papa Francesco il quale vuole dare un segno forte e inequivocabile a
tutta la Chiesa circa il fatto che non ci sono più coperture e
insabbiamenti nei casi di abuso sui minori, anche qualora siano
coinvolte personalità di alto rango nella gerarchia ecclesiastica.
Solo poche settimane fa, inoltre, lo
stesso Lombardi riferiva che Wesolowski aveva fatto appello contro la
sentenza di condanna canonica di riduzione allo stato laicale, nel
frattempo tuttavia è andato avanti il procedimento penale che ora è
entrato nel vivo. Ma lo stesso portavoce vaticano ricordava ancora un
punto importante: “Avendo mons. Wesolowski cessato le funzioni
diplomatiche con la connessa immunità potrebbe essere soggetto a
procedimenti giudiziari anche da parte di altre magistrature che ne
abbiano eventuale titolo”. Insomma i processi canonico e penale in
Vaticano seguivano la loro strada ma se altri Paesi direttamente
coinvolti – la Repubblica Dominicana o la Polonia – avessero la
necessità di chiamare in giudizio l'ex nunzio, non c'erano ostacoli.
La cosa non è da poco anche
perché le stesse autorità polacche nel febbraio scorso si erano
informate in merito all'ipotesi di chiedere l'estradizione del nunzio
ricevendone un diniego da parte della Santa sede proprio in virtù
dello status speciale di diplomatico di cui godeva Wesolowski. Il suo
caso era stato poi sollevato nei mesi scorsi anche alle Nazioni Unite
di Ginevra, quando una delegazione della Santa Sede era stata
ascoltata più volte in relazione all'applicazione delle convenzioni
internazionali contro la tortura e per la tutela del fanciullo. Il
diplomatico, cresciuto alla scuola wojtyliana, proveniente dal
seminario di Cracovia, una carriera nelle ambasciate della Santa Sede
dall'Asia, all'Africa, all'America, è stato nunzio nella Repubblica
dominicana dal 2008 al 2013. I fatti che gli sono stati addebitati,
dunque, sono abbastanza recenti e particolarmente gravi. Fra l'altro
nelle indagini compiute a Santo Domingo emergeva anche la pratica
dell'induzione alla prostituzione. Una gravità che ha pesato nel
giudizio del pontefice e della giustizia vaticana.
Francesco Peloso
La battaglia di due papi
contro la piaga pedofilia. Nessuna impunità.
Una storia torbida, in un
Paese povero e periferico del mondo contemporaneo, che si sta però
trasformando in un nuovo capitolo della lotta ingaggiata dagli
ultimi due pontefici contro la piaga degli abusi sui minori da parte
del clero. Non c'è dubbio che l'arresto in Vaticano dell' ex nunzio
polacco Wesolowski, già ridotto allo stato laicale e ora processato
penalmente, rappresenta il punto d'arrivo di una dolorosa e faticosa
battaglia - che ha visto anche forti opposizione interne alla Chiesa
- ingaggiata da Benedetto XVI prima e da Francesco ora.
Nella primavera scorsa, per
altro, il papa aveva istituito una pontificia commissione per la
tutela dei minori guidata dal cardinale e frate cappuccino, Sean
Patrick O'Malley, arcivescovo di Boston, la città americana dove
ormai 15 anni fa deflagrò lo scandalo abusi destinato a scuotere la
Chiesa di tutto il mondo. Dell'organismo fanno parte anche un'ex
vittima come Marie Collins, proveniente dall'Irlanda, Paese in cui la
Chiesa è stata colpita in modo pesantissimo dallo scandalo, e altre
donne, psichiatre e studiose del fenomeno, oltre a giuristi e
sacerdoti come il gesuita Hans Zollern, tedesco, che hanno sostenuto
l'urgenza di studiare il fenomeno per mettere in campo strategie di
risposta adeguate alla gravità del fenomeno. Di certo c'è che,
all'interno della Chiesa, le tante vicende di abuso sono diffuse ad
ogni livello e non solo fra i sacerdoti come dimostra il caso
dell'arcivescovo Wesolowski.
Di recente anche in Italia
sono venuti alla luce fatti gravi come quello di don Mauro Inzoli,
diocesi di Crema, uomo forte di Comunione e liberazione, condannato,
canonicamente, a una vita di penitenza e di preghiera che lo esclude
per sempre dall'attività di sacerdote. Ma naturalmente le vicende
sono numersoe e in varie parti del mondo: così in molti, da oggi,
tremano perché l'esempio che ha voluto dare il papa significa porre
fine agli insabbiamenti, alle coperture, alla rimozione del problema.
Tanto da riaprire le prigioni del Vaticano dopo il processo al
'corvo' svoltosi due anni fa. E' stato infatti il procedimento
giudiziario contro il maggiordomo infedele di Ratzinger, Paolo
Gabriele, il ritorno in grande stile della giustizia penale
Oltretevere, e se si pensava che quella fosse un'eccezione, il caso
dell'ex nunzio finito agli arresti dimostra il contrario.
Francesco Peloso
Entrambi questi articoli
sono stati pubblicati dal Secolo XIX
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