(Articolo scritto per Vaticaninsider) - Le periferie, tema chiave del magistero
di papa Francesco, sono tornate di stringente attualità nel corso
dell’ultimo anno e mezzo, da quando cioè una serie di attentati
terroristici sanguinosi e drammatici, ha devastato due grandi
capitali europee – Parigi e Bruxelles – e le indagini condotte
dalle forze dall’ordine hanno portato a ricercare gli autori delle
stragi nelle periferie delle stesse città colpite. In particolare di
Bruxelles abbiamo imparato a conoscere il quartiere di Molenbeek,
della capitale francese è tornato più volte il nome dell’area di
Saint Denis, piena banlieue, già centro negli anni passati di
proteste e scontri. Entrambe le zone, come molte altre in vari Paesi
europei, sono segnate da una forte concentrazione di immigrati di
nuova o vecchia generazione, dove un crescente disagio sociale fatto
di disoccupazione, degrado ambientale e sociale, assenza di politiche
per l’integrazione, si è sommato a fattori endogeni quali
resistenze culturali, fondamentalismi, rifiuto del concetto di
cittadinanza, un collasso crescente della legalità.
Secondo il parere convergente di molti
osservatori e studiosi, è in contesti come questi che è cresciuto
un islam settario, più ideologia politica totalizzante che fede
religiosa, più simile a una forma di sfogo anti-sistema criminale e
violento che a una lettura tradizionalista del Corano. Francesco,
da parte sua, ha parlato fin dal principio del suo pontificato, delle
periferie sociali, urbanistiche, degli scartati, e poi delle
periferie esistenziali, avvertendo per tempo il nostro mondo - che
forse non l’ha saputo ascoltare – di come le periferie del
mondo non fossero solo quelle di Paesi africani o asiatici, ma di
quanto anzi erano vicino a noi, bastava sollevare lo sguardo verso i
confini delle nostre città.
E’ allora da rileggere per la
sua clamorosa attualità e preveggenza uno dei passaggi forse
più difficili da assorbire per un lettore europeo del documento
«Evangelii gaudium», nel quale il papa a pochi mesi dalla sua
elezione, tracciava un programma per il pontificato. Francesco
affrontava il tema della violenza in rapporto a temi come
l’urbanizzazione e l’integrazione: «Quando la società –
locale, nazionale o mondiale – abbandona nella periferia una parte
di sé, non vi saranno programmi politici, né forze dell’ordine o
di intelligence – spiegava - che possano assicurare illimitatamente
la tranquillità. Ciò non accade soltanto perché l’inequità
provoca la reazione violenta di quanti sono esclusi dal sistema,
bensì perché il sistema sociale ed economico è ingiusto alla
radice».
«Come il bene tende a comunicarsi –
aggiungeva - così il male a cui si acconsente, cioè l’ingiustizia,
tende ad espandere la sua forza nociva e a scardinare silenziosamente
le basi di qualsiasi sistema politico e sociale, per quanto solido
possa apparire. Se ogni azione ha delle conseguenze, un male
annidato nelle strutture di una società contiene sempre un
potenziale di dissoluzione e di morte». Difficile non vedere la
precisione dell’analisi che forse poteva apparire troppo forte e
dura, ma oggi ci accorgiamo corrisponde in modo fin troppo preciso
alla realtà. Non per caso, allora, Francesco, da Scampia a Napoli, a
Manila, a Ciudad Juarez, a Castelnuovo di Porto frequenta le
periferie, incontra le persone e distingue fra terroristi e vittime,
scegliendo di umanizzare e non di criminalizzare i territori e coloro
che ci vivono.
Importante poi come il tema periferia
veniva affrontato anche nell’enciclica«Laudato sì», sotto
il profilo del rapporto fra condizione umana e ambiente circostante,
fra qualità della vita, modelli di comportamento e valori condivisi.
«...E’ provato inoltre – affermava il pontefice - che l’estrema
penuria che si vive in alcuni ambienti privi di armonia, ampiezza e
possibilità d’integrazione, facilita il sorgere di comportamenti
disumani e la manipolazione delle persone da parte di organizzazioni
criminali. Per gli abitanti di quartieri periferici molto
precari, l’esperienza quotidiana di passare dall’affollamento
all’anonimato sociale che si vive nelle grandi città, può
provocare una sensazione di sradicamento che favorisce comportamenti
antisociali e violenza». «Tuttavia – aggiungeva - mi preme
ribadire che l’amore è più forte. Tante persone, in queste
condizioni, sono capaci di tessere legami di appartenenza e di
convivenza che trasformano l’affollamento in un’esperienza
comunitaria in cui si infrangono le pareti dell’io e si superano le
barriere dell’egoismo. Questa esperienza di salvezza comunitaria è
ciò che spesso suscita reazioni creative per migliorare un edificio
o un quartiere».
Insomma la risposta era in una comunità
virtuosa e non chiusa, nella costruzione di legami solidali. Anche
per questo il papa indicava alla Chiesa la strada delle periferie,
cioè dell’uscita verso gli altri e il mondo, anche se, aggiungeva,
occorre farlo in modo non casuale. Allo stesso tempo, spiegava
Francesco, la periferia è alla base stessa dell’esperienza
cristiana: «Tutto il cammino della nostra redenzione – afferma
Bergoglio in un altro brano di Evangelii Gaudium - è segnato dai
poveri. Questa salvezza è giunta a noi attraverso il ’sì’ di
una umile ragazza di un piccolo paese sperduto nella periferia di un
grande impero».
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