(Articolo pubblicato su Lettera43 nell'ottobre del 2017) Nazionalismi
e populismi europei, con diverse colorazioni politiche, percorrono
anche la Chiesa, ne mettono in tensione le istituzioni, ne orientano
le scelte. E del resto, che una parte consistente del cattolicesimo
catalano guardasse con favore alla causa indipendentista, non è una
novità degli ultimi giorni; così, nel momento in cui lo scontro fra
Barcellona e Madrid è entrato nel vivo, il clero catalano si è
schierato in modo massiccio a favore del referendum e della
secessione.
Una lettera aperta di 400 preti e diaconi ha dato pieno
sostegno “alle istituzioni catalane” e rovesciato sul governo le
accuse di tradimento dello stato di diritto e della democrazia; una
posizione analoga è stata persa dai monasteri cistercensi e
benedettini femminili favorevoli “all’autodeterminazione” del
popolo catalano. Vi era stato anche un appello al Papa affinché la
Santa Sede esercitasse una mediazione in vista del referendum
osteggiato dal governo spagnolo.
Non
erano mancati neanche i pronunciamenti a sostegno della Catalogna
‘nazione’ da parte degli stessi vescovi della regione; le 10
diocesi catalane riunite nella conferenza episcopale tarragonese,
solo nel maggio scorso, parlavano “di legittime aspirazioni del
popolo catalano” e chiedevano che fosse “considerata e
valorizzata la specificità nazionale della Catalogna” in
particolare la lingua e la cultura della regione, mentre doveva
essere promosso “realmente tutto ciò che porta a una crescita e a
un progresso complessivo della società soprattutto nel campo della
sanità, dell’istruzione, dei servizi sociali e delle
infrastrutture”. Poi, nei giorni precedenti il referendum,
l’appello al dialogo e alla calma, alla ricerca di soluzioni
pacifiche, e l’invito a pregare per la Catalogna “che vive un
momento delicato della sua storia”.
Per
questo, anche, i vescovi spagnoli hanno diffuso a loro volta una nota
dedicata alla crisi che sta vivendo il Paese in cui si affermava una
comune sensibilità “con i vescovi catalani, autentici
rappresentanti delle loro diocesi” e si condivideva l'invito al
dialogo e al negoziato pacifico. Seguiva un’affermazione che poteva
essere letta come un monito a entrambe le parti, il governo centrale
e quello della Catalogna, con una leggera accentuazione nei confronti
delle responsabilità del leader catalano Puidgemont. Per la ricerca
di soluzioni improntate al bene comune, affermavano infatti i vescovi
spagnoli, “è necessario che tanto le autorità delle
amministrazioni pubbliche, come i partiti politici e altre
organizzazioni, così come i cittadini, evitino decisioni e atti
irreversibili e con gravi conseguenze, che li collochino al margine
della vita democratica”.
Prudenza
e dialogo dunque per evitare un conflitto dalle conseguenze
imprevedibili. D’altro canto questa linea seguita dai vescovi
spagnoli, vale a dire evitare di identificarsi automaticamente con
Madrid o ancora più precisamente con il Partido popular del premier
Mariano Rajoy, non è piaciuta al governo che ha lanciato una sfida
durissima agli indipendentisti. In ambienti governativi si fa capire
che di fronte a una posizione giudicata pilatesca dei vescovi,
potrebbero essere rivisti gli accordi fra Stato e Chiesa,
l’equivalente del nostro Concordato. Una minaccia di questo tipo in
genere arriva quasi sempre da parte del partito socialista, ora le
parti si sono invertite. Ma oltre le schermaglie, non è un caso che
il premier Rajoy nella serata del 3 ottobre abbia incontrato gli
arcivescovi di Madrid e Barcellona, Carlos Osoro e Juan José Omella,
entrambi cardinali nominati dal Pontefice e considerati uomini di sua
fiducia
(http://www.religionconfidencial.com/iglesia-estado/RAjoy-omella-osoro_0_3014098582.html);
nel frattempo papa Francesco all’indomani del referendum catalano,
aveva ricevuto il nuovo ambasciatore spagnolo presso la Santa
Sede, Gerardo Ángel Bugallo Ottone, che gli presentava le
proprie lettere credenziali.
Va
rilevato come la conferenza episcopale iberica sia guidata oggi dal
cardinale Ricardo Blazquez, arcivescovi di Valladolid, in passato
vescovo della diocesi di Bilbao, quando il problema indipendentista
era principalmente quello basco. Blazquez, insomma, conosce il
problema dell’autonomismo e fa parte di una corrente ecclesiale
moderatamente aperta; la differenza è col recente passato, quando la
Chiesa spagnola guidata dal conservatore cardinale Antonio Rouco
Varela, era ancor strettamente legata al Partido popular a sua volta
ben collegato con l’Opus Dei. E’ poi un dato storico che, dai
Paesi Baschi alla Catalogna, la Chiesa sia stata percorsa da forti
spinte indipendentiste o autonomiste in una contrapposizione con
gerarchie non di rado centraliste (o a loro volta nazionaliste, ma
nel nome della Spagna); così nel clero e fra i credenti si
riflettevano le divisioni del Paese.
La
prudenza è dunque una strada obbligata per l’episcopato spagnolo,
l’invito al dialogo ne è la conseguenza diretta ma anche una
scelta che rompe con gli ‘estremismi’ di una crisi apparentemente
senza via d’uscita. Interessante, poi, riandare alle parole,
anch’esse piuttosto attente e circostanziate, pronunciate dal Papa
in un’intervista rilasciata la quotidiano catalano ‘La
Vanguardia’ nel 2014 in merito all’indipendentismo. “Tutte le
divisioni mi preoccupano” affermò Francesco e aggiunse: “c’è
indipendenza per emancipazione e c’è indipendenza per secessione.
Le indipendenze per emancipazione, per esempio, sono quelle
americane, che si sono emancipare dagli stati europei. Le
indipendenze dei popoli per secessioni sono uno smembramento a volte
molto ovvio. Pensiamo all’ex Jugoslavia”. “Il caso iugoslavo è
molto chiaro – proseguì - però io mi domando se è così chiaro
in altri casi, per altri popoli che fino ad ora sono stati uniti.
Bisogna studiare caso per caso. La Scozia, la Padania, la Catalogna.
Ci saranno casi in cui saranno giuste, altri in cui non lo saranno”.
Tuttavia, e questo era un passaggio assai rilevante, “la secessione
da una nazione senza che ci sia stato un antecedente di unione
forzata bisogna prenderla con le pinze e analizzarla caso per caso”.
Quest’ultima affermazione di Francesco sembra cogliere un punto
chiave della contesa in atto, il governo di Madrid, infatti, sostiene
che non vi è nessuna limitazione della libertà e che ad essere
violata dallo strappo prodotto dal governo catalano è la
Costituzione, non a caso si è parlato a proposito del referendum di
colpo di Stato; un caso quindi “da analizzare”.
Certo
il nazionalismo non è materia semplice da gestire per una Chiesa
che, in particolare nel magistero di Bergoglio, ha in mente la
famiglia umana nel suo insieme, i grandi problemi transnazionali come
la salvaguardia dell’ambiente, le grandi migrazioni, il divario fra
poveri e ricchi e fra nord e sud del mondo. Fra l’altro sempre nei
giorni scorsi il cardinale Reinhard Marx, capo dei vescovi tedeschi e
fra i più stretti consiglieri di papa Francesco - alla guida fra
l’altro del Consiglio per l‘economia in Vaticano - aprendo i
lavori della conferenza episcopale della Germania, in un diverso
contesto politico, ha detto chiaramente che il nazionalismo è in
contrasto col Vangelo così come ogni forma di xenofobia e di odio
per lo straniero, per questo anche il populismo avanzante in Europa è
da considerarsi un fenomeno negativo dalla Chiesa.
Procedendo
verso oriente lo scenario cambia ancora, le chiese di paesi
attraversati da forte spinte nazionaliste (con pericolosi rigurgiti
antisemiti e xenofobi) come l’Ungheria e la Polonia, seguono i loro
governi. Ancora in questi giorni, in un accavallarsi continuo di
eventi, la conferenza episcopale polacca ha dato la propria adesione
ad una iniziativa di recita del rosario organizzata lungo “i
confini della nostra patria” per il prossimo sette ottobre,
centenario delle prime apparizioni di Fatima nonché festa della
Madonna del rosario, ricorrenza introdotta, ricordano i siti internet
dell’integralismo cattolico polacco, “dopo la grande battaglia di
Lepanto” del 7 ottobre 1571, quando “la flotta cristiana ha
battuto la flotta musulmana, salvando così l’Europa
dall’islamizzazione”. Tornando a occidente e cambiando
decisamente parte politica, va ricordato come la Chiesa cattolica
abbia appoggiato la lotta per l’indipendenza dell’Irlanda del
nord pur cercando anche in quel caso una mediazione possibile. Di
nuovo ad est, nell’Ucraina oggi indipendente e alle prese con un
conflitto latente con la Russia di Vladimir Putin, la Chiesa
greco-cattolica (in comunione con Roma) ha assunto una posizione
decisamente nazionalista pro-Ucraina, mentre la Santa Sede ha scelto
di mantenere aperto il dialogo con Mosca e di promuovere anche in
questo caso una linea di dialogo suscitando le critiche dei
greco-cattolici.
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